L’olio evo di qualità tra identità e biodiversità. Il “top” secondo Barbara Alfei

Quali caratteristiche deve avere un olio extravergine d’oliva per essere di qualità? Quali varietà sono le migliori? Come affrontare il problema dell’utilizzo di oli non di qualità nella ristorazione? Qual è la frontiera dell’olio evo e come può competere nel mondo l’olio italiano? A queste domande ha risposto Barbara Alfei, Capo Panel dell’ASSAM e massimo esperto italiano in tema di oli monovarietali

Gli ultimi anni sono stati di grande importanza per l’olio extra vergine d’oliva italiano. La Food and Drug Administration degli Stati Uniti d’America nel 2018 ha riconosciuto delle proprietà medicinali all’olio extravergine d’oliva: da quel dì si è iniziato a definire l’olio evo di qualità come prodotto “nutraceutico”, una parola macedonia derivante dalla crasi di “nutriente” e “farmaceutico”. Ciò ha spalancato un mercato tutto da esplorare, a livello internazionale, per le produzioni di olio extravergine di qualità per una nazione, come la nostra, che vanta il maggior numero di cultivar al mondo. E, oltre a una grande varietà di olive e di oli, abbiamo anche il maggior esperto di oli monovarietali.

Si tratta di Barbara Alfei, agronomo e Capo Panel dell’ASSAM (Agenzia Servizi al Settore Agroalimentare delle Marche), che negli anni ha analizzato e caratterizzato le varietà italiane di olive, diventando un punto di riferimento in materia di oli monovarietali extravergine d’oliva. Abbiamo intervistato la dottoressa a Bassiano, in provincia di Latina, in occasione dell’annuale concorso provinciale “L’Olio delle Colline”, dove oltre trecento oli pontini sono stati analizzati dagli esperti della Capol Latina. Le risposte, insieme a quanto ha affermato in quel giorno il presidente di Agro Camera Carlo Hausmann, delineano la strada per una produzione di qualità dell’olio evo italiano, che può essere sempre più competitivo e ricercato sul mercato internazionale.

Chi è Barbara Alfei e come nasce la sua passione per i monovarietali?
“Mi sono laureata in Scienze Agrarie con una tesi sperimentale sull’olivo e da quel momento mi sono sempre occupata di olivicoltura, lavorando dapprima con il dott. Giorgio Pannelli, ricercatore e grande appassionato di olivo, fautore della potatura a vaso policonico, poi con l’ASSAM (Agenzia Servizi Settore agroalimentare Marche ndr), per la quale ho seguito il lavoro di caratterizzazione del patrimonio olivicolo regionale e, in qualità di Capo Panel, coordino il Laboratorio di analisi sensoriale.

Dal lavoro sulle varietà locali marchigiane è nata, con il supporto di Giorgio Pannelli e del compianto Antonio Ricci che è stato direttore della rivista “Olivo e Olio”, l’idea del Campionato Nazionale di potatura dell’olivo a vaso policonico “Forbici d’oro”, quest’anno maggiorenne, e della Rassegna Nazionale degli oli monovarietali, giunta alla 17° edizione, per la valorizzazione della biodiversità olivicola italiana, manifestazioni organizzate annualmente dall’ASSAM. In sintesi, la mia passione per l’olivo, le varietà autoctone e i monovarietali, nata quasi per sbaglio dalla mia tesi di laurea, è andata crescendo di anno in anno… l’olivo è una pianta che si fa amare”.

Quali caratteristiche deve avere un olio evo per essere di qualità?
“Deve essere fruttato, amaro e piccante e non deve avere difetti. A ciò si aggiunge la necessaria presenza dei sentori varietali che vanno a differenziare un olio dell’altro. Sentori che sono legati alla varietà e che arrivano al consumatore finale attraverso gli oli extravergine d’oliva di qualità”.

E per essere considerato il top?
“Deve rappresentare tutto ciò che è contenuto nelle olive e che è diverso in base alla varietà presa in considerazione. Allo stesso tempo deve riuscire a esprimere la propria identità. Ovviamente ogni olio è diverso e la preferenza dipende sia dai gusti personali, sia dagli abbinamenti con i piatti. Il top si raggiunge quando si riesce a tirare fuori tutto ciò che c’è nella varietà oltre alle caratteristiche nutrizionali e salutistiche”.

Quali sono ad oggi i migliori sistemi e i migliori macchinari per produrre un olio evo di qualità?
“Più moderni sono e meglio è. Assistiamo a un’innovazione spaventosa nelle tecnologie e oggi il frantoiano è colui che gestisce ogni variabile tirando fuori tutte le potenzialità racchiuse nel frutto. È necessario un lavoro di squadra tra produttore e frantoiano, ai quali si richiede massima competenza e professionalità”.

Come far capire ai consumatori il valore di un olio evo di qualità e metterli nelle condizioni di scegliere consapevolmente al momento dell’acquisto anche spendendo qualcosa in più?
“Secondo me lo si può fare cominciando a lavorare anche per differenza. Bisognerebbe raggiungere tante persone facendo fare loro delle semplici esperienze sensoriali: una volta che impari a riconoscere le differenze poi indietro non ci torni perché l’olio evo di qualità in un certo senso crea dipendenza”.

E rispetto alla ristorazione?
“La ristorazione è uno scoglio duro. Tanti ristoratori fanno attenzione alle materie prime e poi utilizzano un olio qualsiasi ma l’olio, una volta nel piatto, rimane e condiziona tutto, magari rovinando un pesce fantastico. Ecco, credo che i ristoratori dovrebbero avere degli input dai consumatori. Se l’olio non è di qualità è il caso di dire al ristoratore: “Il pesce è fantastico ma l’olio l’ha rovinato”.

Qual è la frontiera dell’olio evo e come può l’olio italiano competere a livello internazionale?
“Recuperando un patrimonio di biodiversità che altri non hanno e coniugandolo con l’ambiente di coltivazione e il clima variegato che ci permettono di fare prodotti riconoscibili, da valorizzare in tutti i modi, raccontando la varietà, l’olio, il territorio, la storia, le tradizioni, il produttore… in una sola parola il terroir”.

L’ultima domanda: qual è il miglior olio d’Italia, o la migliore varietà, secondo Barbara Alfei?
“Non te lo dirò mai. Non esiste una varietà migliore: tutte possono dare il massimo”.